Introduction to philosophy week 2

Introduction to philosophy week 2

di BIGOZZI ISABELLA -
Numero di risposte: 3

Buongiorno, ecco il resoconto della seconda settimana del mio mooc.

La seconda settimana affronta il tema dei giudizi morali. Cosa facciamo quando esprimiamo un giudizio morale? Cogliamo un aspetto oggettivo della realtà oppure il nostro giudizio deriva dalla nostra cultura o personalità ? Tutti noi sentiamo una differenza quando esprimiamo un giudizio empirico, basato sull'osservazione dei fatti e un giudizio morale, che si fonda su valori che possono variare da cultura a cultura e da individuo ad individuo. Ci sono almeno tre diverse correnti filosofiche relative ai giudizi morali. L'oggettivismo equipara i giudizi morali a quelli empirici: è possibile determinare la verità o la falsità  di un giudizio morale in base ai fatti che hanno portato alla formulazione del giudizio. Tali fatti sono oggettivi e non dipendono dalla nostra cultura o personalità. Il relativismo, parimenti all'oggettivismo, crede nella possibilità di dare un valore di verità ai giudizi morali, ma tale valore varia in base a dei fattori, ad esempio quelli culturali (relativismo culturale). Il soggettivismo porta all'estremo questa idea sostenendo che il valore di verità dei giudizi morali varia da persona a persona, in base alle opinioni e motivazioni del soggetto che li formula. La terza corrente, l'emotivismo, ritiene che non sia possibile attribuire un valore di verità ai giudizi morali, in quanto essi vengono formulati in base alle nostre emozioni, in base a come ci rapportiamo con la realtà. Le tre teorie non sono immuni da obiezioni; per l'oggettivismo, che considera i giudizi morali alla stregua di quelli empirici, può essere difficile risolvere il disaccordo: quando due persone hanno due giudizi empirici diversi relativamente allo stesso oggetto, possono risolvere il problema con la prova empirica, con l'osservazione della realtà. Ma questa soluzione non sembra praticabile con i giudizi morali. Se si assume per buono il relativismo culturale il giudizio "la schiavitù è giusta" risulterebbe vero per determinate culture del passato, il che non è moralmente accettabile. Per l'emotivismo infine è difficile spiegare come in seguito ad una riflessione, si possa rettificare un giudizio morale. Ad esempio se su base emotiva ci venisse da affermare che l'atto di Edipo, (che ha avuto rapporti incestuosi con la madre), è sbagliato, dopo aver riflettuto sul fatto che Edipo non aveva idea che Giocasta fosse sua madre, potremmo cambiare idea.

Un saluto da Isabella
In riposta a BIGOZZI ISABELLA

Re: Introduction to philosophy week 2

di GALLIGANI BEATRICE -

A mio avviso, Oggettivismo, Relativismo ed Emotivismo tendono ad assolutizzare l'importanza, rispettivamente, dell'osservazione empirica, del background culturale e della dimensione privata delle emozioni. 

Approfondendo la tematica sembra che questi tre fattori si possano paragonare a veri e propri feticci, in altre parole sono accettati dogmaticamente fino a diventare oggetto di una pseudo-venerazione intellettuale, tanto assurda quanto profondamente radicata in coloro che si identificano con suddette correnti di pensiero.


Come evidente già dalle critiche riportate da Isabella, tutte e tre le correnti implicano tesi insostenibili, le cui conseguenze non possono che risultare paradossali. Ne discende dunque che radicalizzare certi punti di vista, demonizzandone altri, porta inevitabilmente al contro senso.


In riposta a GALLIGANI BEATRICE

Re: Introduction to philosophy week 2

di BIGOZZI ISABELLA -

Buongiorno,

Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Le obiezioni non sono mie ma del Dr Matthew Chrisman. Condivido il fatto che bisogna avere un pensiero aperto al miglioramento, alle novità e rifuggire dai dogmi e dalla rigidità. Tenendo però presente che senza una teoria, una visione del mondo in cui ci si riconosce, diventa difficile interpretare la realtà.

Buona festa, un caro saluto da Isabella

 

In riposta a BIGOZZI ISABELLA

Re: Introduction to philosophy week 2

di FORMICONI ANDREAS ROBERT -

Non è certamente il mio campo ma questi spunti sono interessanti. Io guardo dall'esterno, per così dire, ovvero dal punto di vista di coloro che si sono formati con un concetto molto più facilmente definibile di teoria, ancorché per nulla chiaro a molti. Quello di teoria scientifica sottoposta alla continua minaccia del prossimo esperimento, perché ne basta uno negativo dopo mille positivi a negarla. Concetto debole quindi ma chiaro: la teoria scientifica serve a predire i fenomeni in un certo ambito. Quando gli strumenti di indagine si fanno più sofisticati può darsi che la teoria debba essere rivista e riformulata per essere in grado di predire fenomeni in ambiti più generali.

Ma quando si parla di teorie filosofiche (non sono nemmeno sicuro se sia corretto definirle così) allora mi confondo. In teoria (scusate per il bisticcio di parole) che la teoria aiuti a interpretare la realtà sembra una cosa ovvia. Ma ci riesce? Quanto ci riesce? Con quali esiti? Se poi le teorie si avvicendano così rapidamente e offrendo letture così diverse della realtà? Io proprio non so rispondere, se non constatando che pensare è inevitabile e quindi domandarsi come stiano le cose altrettante inevitabile...